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Cinema

Nuovo oppio del popolo

Nuovo oppio del popolo
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Tra tutte le forme d'arte, il cinema è quella che ha avuto l'evoluzione più radicale. In poco più di cent'anni ha vissuto innumerevoli periodi creativi. Già solo la divisione principale parla da sè: Cinema classico, moderno e contemporaneo. Tre stagioni creative che convivono tutt'ora e che, a differenza dell'Arte con la "A" maiuscola, continuano a perseverare nonostante la presenza delle altre. Ovviamente, il cinema moderno non ha niente da spartire con la storia dell'arte moderna, ma è significativo notare come un mezzo di comunicazione nato per il mero guadagno durante le più stravaganti fiere, da tutti inizialmente condannato ad un'estinzione precoce, sia diventato il mezzo stilistico più richiesto e apprezzato dal grande pubblico in un così breve lasso di tempo. Il motivo di tanto successo deriva sostanzialmente da un fattore: l'espressività. L'immagine cinematografica, con il suo movimento, la sua composizione, i suoi giochi di luci e ombre è come una tela vivente, capace di rappresentare qualsiasi cosa si presenti dinanzi la macchina da presa. In suo aiuto, poi, arriva il sonoro, anche se è stato ampiamente provato che le grandi narrazioni non necessitano per forza di suoni per essere fruite. Poi la recitazione, la scenografia (che racchiude in sé pittura, scultura e architettura), la sceneggiatura. Nel cinema trovano spazio tutte le Arti. In definitiva, potremmo dire che l'Arte è il cinema e il cinema è l'Arte. Per questo il pubblico non può farne a meno. Perché porta l'Arte al loro livello, non la elitarizza. Il cinema è di tutti. Nuovo oppio del popolo.

Il gabinetto del

dottor caligari

Robert Wiene - 1920

Prima del cambiamento

Il 1895 è stato senz'altro l'anno che più di tutti ha segnato il secolo che di lì a poco si sarebbe scatenato in tutta la sua furia. Con il Cinematografo dei Lumiere qualcosa è scattato, dando inizio a una reazione a catena che si sarebbe ripercossa in tutto il mondo.

Il cinema delle origini era principalmente adibito per attrarre il pubblico. Era un fenomeno da baraccone. Un'attrazione da fiera. Ma poi sono iniziate a spuntare fuori le prime narrazioni concrete. Dapprima di pochi minuti, in seguito della durata di due o persino tre ore. Centinaia di metri di pellicola per raccontare una storia, la storia dell'uomo, ma anche del mondo. Questo attraverso risate, lacrime, fantasticherie, realtà.

Tutti i generi cinematografici che oggi conosciamo e che vediamo ibridarsi in nuove forme narrative, sono nati (cinematograficamente parlando) nel periodo che va dal 1905 al 1927. Noir, fantascienza, dramma, commedia, horror, bellico, distopico, utopistico. Le basi sono nate in quegli anni di grande fermento creativo, a cavallo di una guerra che ha dilaniato il mondo e lo ha cambiato drasticamente.

Le grandi correnti artistiche invadono gli schermi. Le tele prendono vita. Gli artisti incontrano la macchina da presa. Sperimentazioni, avanguardie. Tutto per raccontare una preoccupazione comune, una condizione comune. Civiltà in guerra. Il dolore di un popolo. La nascita di un'illusione. L'uomo moderno, che non guarda mai dietro di sé. Che non vuole ricordare il male che gli è stato inflitto. Un uomo pronto a seguire chiunque gli prospetti anche il più piccolo barlume di speranza per un mondo privo di sventure. Pronto a credere a tutto pur di sopravvivere.

Figure solide, dominanti, prendono il potere sotto gli occhi accondiscendenti dei cittadini. Promesse di giorni migliori. Di rinascita. 

Pochi anni e tutto si evolverà nuovamente. L'illusione svanirà. Le maschere cadranno. La verità sarà svelata. E, allora, tutti dovranno venire a patti con la realtà. Tutti dovranno venire a patti con la vita.

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Prima del cambiamento

LA dolce vita

Fedrico Fellini - 1960

Non si guarda indietro

1945. Il mondo è in pezzi. Una sanguinante ferita divide l'Europa. Un cratere giace silente nel cuore dell'Oriente. L'umanità guarda con occhi nuovi la vita che si è lasciata alle spalle. I reduci hanno assistito al collasso della civilizzazione. Sono le macerie di un mondo scomparso. Di conseguenza, non si può più raccontare la vita come una volta. Bisogna convivere con gli sbagli del passato. 

Allora, dalla polvere e dai resti del nostro stesso retaggio, nascono nuovi modi di mostrare la vita. Una vita priva di censure, senza trucco. Disordinata, difficile, crudele. Il cinema torna a raccontare, ma non storie di eroi e cavalieri. I nuovi soggetti del cinema sono persone comuni, tentate dal peccato, fallibili. Cittadini di un mondo che non ha più bisogno di eroi perché non è rimasto niente da salvare. Non è più l'istanza narrativa a portare avanti la narrazione, bensì quella autoriale. La soggettività sovrasta l'oggettività e il rapporto di causa-effetto svanisce nel tessuto cinematografico. Si iniziano a seguire i protagonisti di vicende scollegate e confuse, a pedinarli nel loro eterno errare alla ricerca di se stessi e del mondo che li circonda. Non riusciranno mai a trovare risposte o conferme e questo i registi lo sanno. Loro stessi sono i personaggi di queste storie comuni, persi in questo mondo stravolto, complesso, indecifrabile. Tuttavia, l'identificazione non è mai completa. Il regista è sempre un passo avanti al personaggio che porta sullo schermo. La sua consapevolezza è maggiore e questo lo spinge in ultima analisi a distaccarsi dal personaggio da lui creato, da quella parte di sé che è smarrita nella società moderna. 

Dall'Italia, alla Francia, fino agli Stati Uniti. In vent'anni il cinema delle grandi narrazioni inizia a sparire per lasciare spazio a nuovi volti, nuove idee, nuove storie. Neorealismo, Nouvelle Vague, New Hollywood. La nuova rivoluzione.

Nuovi dispositivi si fanno strada nel complesso e sfrenato tessuto sociale. Dispositivi alla portata di tutti (o quasi) trascinati dalla corrente del miracolo economico, illusione ultima di un mondo disperato. Il cinema perde terreno. Ma è proprio questa corrente di innovazione la chiave per la salvezza del mezzo cinematografico. Il cinema diventa d'autore. Uno sguardo "giovane" prende il controllo della macchina da presa. Gruppi di amici o giovani appassionati di cinema che vogliono cambiare le cose. Da Coppola, Scorsese, De Palma, Spielberg, LucasAltman a Fellini, Bertolucci, Risi, Antonioni fino ad arrivare a Truffaut, Godard, Varda, Chabrol. I tempi sono cambiati. Come la vita. Come le persone. Non si torna indietro. 

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Non si guarda indietro

Blade runner 

Ridely Scott - 1982

Che i giochi abbiano inizio

Negli anni '80, la televisione ha ormai preso il controllo. Nessuna nuova stagione cinematografica è riuscita a debellare l'inarrestabile avanzata del dispositivo innalzato a simulacro sociale per eccellenza. Ogni casa, ricca o povera, aristocratica o piccolo-borghese, presentava almeno un televisore.

I cineasti più creativi e visionari avevano capito che bisognava reagire, differenziarsi da quanto proposto dai network televisivi. Dovevano rivoluzionare il mondo del cinema. E per farlo dovevano parlare al pubblico, renderlo partecipe. Non più spettatori, bensì giocatori intenti in una partita culturale con i cineasti. Non più grandi narrazioni lineari, bensì narrazioni esplose, complesse, straordinariamente intricate. Le visioni pulite, composte, formali non hanno più posto in questa società viziata da costanti e pressanti stimoli visivi. Di conseguenza, l'immagine si riempie, diventa satura di elementi sapientemente inseriti per tenere alta l'attenzione del pubblico pagante, alla costante ricerca di citazioni.

Nessuna istanza ha il dominio metanarrativo. L'autore non è più il fulcro della narrazione (come nel cinema moderno), né tantomeno il racconto (come nel cinema classico). Ora tutte le istanze cooperano per raccontare una storia complessa, che chiede allo spettatore di essere ricostruita e interpretata.

Il regista non può che portare su schermo questo racconto simulacrale in modo passivo, senza rendere evidente la sua presenza. L'unico modo per mostrarsi è mettersi davanti alla macchina da presa, diventare parte del mondo che sta raccontando. Non è più un'istanza assoluta, elevata quasi a divinità, che ha il potere di distaccarsi da quanto racconta in qualsiasi momento. Ora entra totalmente nella narrazione perché anche l'autore è parte di quel mondo e non può fare in modo di allontanarsi o emergere per prendere il controllo della situazione. Anche il regista, alla fine, è suddito del Cinema.

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Che i giochi abbiano inizio

Dunkirk

Cristopher Nolan  

2017

Ciò che resta

Più di cent'anni di storia, e a noi cosa resta? Cinecomics e blockbuster? No. Molto di più. La contemporaneità che ci troviamo a vivere ha portato con sé un bagaglio storico come mai successo in passato. L'uomo si volta per vedere cosa c'è stato. Forse per paura di vedere cosa verrà, forse per rispetto verso un mondo che non esiste più. Sta di fatto che l'uomo si volta per vedere i suoi sbagli, i suoi peccati, le sue vittorie. E da queste prende ispirazione. Si lascia ammaliare da ciò che fu per determinare ciò che sarà.

Il cinema contemporaneo è necessario per la sopravvivenza del cinema stesso. Servono film che portino in sala le masse, perché senza di essi il cinema si estinguerebbe. Il capitale porta alla realizzazione: questa è la legge della natura. La natura di cemento e petrolio, polveri sottili e plastica, erede di un mondo in rovina. Denaro chiama denaro. Se non si sfama la bestia del capitalismo, non si può passare per le porte dell'Arte.

Da non sottovalutare anche un altro fattore: il cinema è nato per le masse. Quindi ciò a cui stiamo assistendo nel panorama contemporaneo non è altro che il normale protrarsi di una forma d'arte che si evolve e sopravvive all'infame mondo mediatico. Si adatta, lotta, si avvinghia ai suoi possedimenti, alle certezze che ha scoperto in tanti anni di attività. Solo così registi di tutto il mondo possono avere modo di esprimere loro stessi attraverso il cinema.

Tanti capolavori sono usciti negli ultimi dieci anni. Chi non riesce a scovarli probabilmente è troppo attaccato al passato, ovvero alla sua infanzia. Ora si pensa che non possano più esserci registi del calibro di Scorsese, Coppola, De Palma e compagnia. Come una volta si pensava che non sarebbero mai più esistiti autori come Lang, Griffith o Bergman. E come si penserà che non potranno più esistere personalità come Anderson, Iñárritu o Del Toro.

Quello che stiamo vivendo è il normale processo storico dell'uomo che vede tutto con gli occhi di quando era bambino. C'è un filtro infantilistico alla base delle vicende umana. Ciò con cui siamo cresciuti ci sembra irraggiungibile dalle generazioni future perché ci ha formato, ci ha costruiti intorno la sua poetica e il suo fascino.

I primi a guardare al passato sono coloro che l'hanno vissuto. E chi è arrivato dopo non può far altro che seguire le orme di chi gli racconta quelle storie. Le storie di un mondo migliore. Racconti di speranza, unione, pericoli scampati. Nazionalismi e socialismi. Vicende passate, dure a morire. Storie della vita che fu. Di tempi in cui tutto sembrava più autentico, nonostante le difficoltà, le guerre, gli scontri, le divergenze. Tutti hanno vissuto il fascino romantico di quanto c'è stato, delle eroiche gesta che hanno portato alla formazione del mondo contemporaneo. Racconti per ricordare, ma anche per migliorare, per fare diversamente- Per costruire un mondo lontano da quanto è stato in passato, ma posizionato sapientemente sulle stesse fondamenta, crepate dal tempo e dalla forza demolitrice dell'uomo.

E via, verso la prossima generazione di romantici, eredi di folli.

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Ciò che resta
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